E non ci raggiungeranno
le vette altère
di quei resti oceanici
più contemplati dalla superbia,
né i nostri visi
resteranno inumiditi
dalla neve rossa
di questa notte di ottobre
miscelata nella malevola
e tremebonda miseria.
Ah, la terra!
Questo insipido esistere
divenuto ai consapevoli
e ai piccoli
disumano crepuscolo,
digradante assenza
dell’aria nella luce.
Oh, attesa!
Tiepido latte
che bruno profonde
le sue strabiche dosi di veleno
tra l’enclave sconfinato
dei misurevoli respiri
a condensazione antartica.
E come pallido fiore
vediamo la vita
decomporsi negli ordini
e nei suoi atti
malgrado annottino le fiamme
e prevalgano fiumi di ombre,
gelate d’atmosfere.
Si va masticando, mordendo,
l’odore degli astri
tra gli occhi di tanti.
E tu mi pensi
nel medesimo pensiero
con il quale io,
lo stesso, ti sto pensando
mentre siamo assorbiti
dalla percezione identica
di quei fenomeni immutabili
che ci rendono viventi
non per quel che abbiamo lasciato
dietro noi, no,
ma per l’orizzonte
che avanti a noialtri
spalanca i suoi duplici orizzonti
per far sorgere l’ultimo, il nuovo,
attraverso l’opera
di un mondo asperso
da quelli che sono stati
fino a ieri
i nostri indefettibili limiti.
Innamorami di noi
e su me non tarda a effondersi
la progenie della verità,
oltre la neve sporca
e la cenere delle tenebre.
Sì, moltitudine in te
desideriamo essere,
tra le azzurrità dei tuoi diapason,
diffusamente limpidi,
cielo dentro cielo.
(23/10/2023)