Destatevi città.
Nei giacigli in cui si rifugiava l’iniquità dei vostri pensieri,
la malvagità delle vostre condotte, piove.
Non più lacrime di passaggio,
né s’irrorano con la fatica degli oppressi, dei superstiti,
i pleniluni adorati dalle vostre stagioni inique, insonni.
Destatevi città.
Bevete. Questa è la coppa che vi spetta,
il calice della grande amarezza. Inebriatevi di terrore, dunque,
e al suo cospetto non meraviglia, non stupore, non sonno
più vi colga. Deste, come bestie da soma senza padrone
ugualmente costrette lungamente alla fatica, al lamento,
al pianto, non vedrete che le vostre tracce sparire dal suolo
offeso dai vostri escrementi di guerra e di lotta.
Io l’ascolto. È una voce, un grido che scuote ogni certezza.
Non consolate, non tentate di consolare
chi nutriva amore e speranza ed oggi le ha perdute.
Ecco. Viene l’ora, ed è questa,
in cui il Signore spalancherà il suo petto,
porta santa attraverso la quale si adageranno i suoi amati,
proprio come un pastore accoglie sulle proprie spalle
le sue impaurite, ferite, ritrovate pecorelle.
Guai a voi, che avete invano tentato di chiuderla quella porta.
Guai a voi, che avete inzozzato il nome dei vostri padri
rinnegando ogni loro condotta e tinteggiando di marciume
i loro sepolcri. Così facendo, avete colmato la misura
che renderà ad ognuno di voi la giusta condanna.
O steppe, monti, colli: i cieli destano le città che dormono.
(25/08/2021)