Io Sono il canto di Colui che sono
Figlio dell’uomo alzati
e progredendo
in quella che per me è diventata
l’infanzia lacerata del mio popolo
straccia le tue vesti
e non cingerti più i fianchi,
cospargi di cenere il tuo capo
e non di olio,
i tuoi piedi non indossino calzari
sui monti e sulle isole
che l’odio, i fratricidi e i parricidi
stanno devastando
affinché la polvere si alzi
ad ogni passo mosso dal tuo andare.
Ecco.
Io pongo sulle braccia
dell’angelo che ti precede
una bilancia e tre diversi pesi.
Occupando le estremità delle mie alture
su di ognuna mi rivestirò dei miei abiti,
allaccerò la cintola
fino a farmi sanguinare i fianchi
e lascerò che trabocchi di olio il mio capo.
Su tutte e tre le alture, poi,
nella solitudine e nel pianto
resterò a guardare le mie doglie,
io che sono la partoriente
di me medesimo,
fino a quando
cesserà il dirompere delle acque
e genererò, a nuova esistenza,
il tre volte figlio,
il tre volte padre,
il tre volte spirito.
Tu non aprirai la bocca,
non spalancherai gli occhi
né oserai udire
poiché ti impedirò la parola,
in quel momento,
oscurerò i tuoi occhi
(tu, pupilla amata del mio verbo)
e chiuderò,
con la rugiada del mio seno,
ogni tuo ascolto.
L’angelo che ti precede
sarà per te una tunica
senz’alcuna cucitura
e la mia inascoltata ammonizione,
per i paesi del mio popolo,
cesserà
quando nelle tue mani,
scoperte dal freddo,
lascerò che due dei tre pesi
forino i tuoi palmi
da occidente ad oriente.
Non avrai fiato nella tua voce.
Non vedrai il tuo tormento.
Non udrai le urla della tua anima.
Questo avverrà affinché si compia
ciò che è stato detto
per bocca della scrittura
«Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?»
e le cose antiche siano dimenticate
e le nuove abbiano,
da quel momento,
vita nella prefazione a nascere
dell’elevazione ultima della mia città.
In quel giorno senza oscurità
non vi saranno più monti né isole,
o nazioni.
Un terzo dei miei tempi peserà,
ultimo,
le azioni e le opere di ogni uomo
di ogni stirpe e di ogni generazione.
La luce dimorerà sulle labbra del giusto
e la mia parola vivrà,
perenne,
nello spirito di mio padre
che io ho generato
prima di tutte le cose, antiche e nuove.
Lascia,
adesso,
aperto il tuo cuore,
figlio dell’uomo,
libera questa angoscia
che opprime il tuo petto
e con materno amore
asciuga il pianto dei miei piccoli,
uno ad uno,
senza elevare alcun lamento per loro
poiché il tempo della mia ira
non trascorrerà invano
e chiunque avrà mietuto,
nei miei campi devastati e violentati,
raccoglierà ciò che ha seminato
moltiplicato ora uno,
ora il settanta,
adesso cento volte tanto.
Il nodo che ti legava la lingua è slegato
e i tuoi occhi
ascoltano le mie parole
sul seno dell’aurora,
ove io ti ho generato.
Chi vorrà parlare,
adesso,
scendere con me
a discutere giù dal mio monte?
Chi vorrà,
adesso,
guardare in faccia
il mio nome primo ed ultimo
con occhi cavi, già smorti?
E chi oserà udire,
adesso,
la mia voce
quando da oriente ad occidente
lascerò che essa brilli
più della folgore?
La bilancia.
Ecco.
Lì giace ancora un peso,
la misura principe del mio domani,
del mio ieri,
dei miei oggi
e di ogni tempo.
Poiché Io Sono il canto
di Colui che sono
e che del suo creato
e di ogni mia creazione
non mi pento
e né mai si pente.
Tutto questo, io,
ho stabilito per le nazioni.
Tutto questo, io,
l’ho giurato per sempre!
(05/04/2022)