Ho compiuto il rivoluzionario mattino nella giurisdizione dei disamati confini della mia terra. Una terra offesa dalle armi, dalla menzogna fratricida, dalla sconfitta di chi muove le sue pedine sulla scacchiera della morte. Ossa, ossa e ancora ossa sepolte a milioni, sconosciute ai popoli che abitano il mio non più luogo, uno dei più grandi desolati errori degli uomini. Come bestie condotte al macello, ancora. Non è una storia che si ripete nella sua coazione, no. Essa è la mia non storia. Non comprendono le isole, i monti, i colli. A comprendere nemmeno sono chi vi detiene l’ordine, la disciplina, il potere. Sono le non mie nazioni, quelle smorte foglie che asfissiano nel seme del secolo più buio i condannati a vivere guardando piangere lacrime di morte i loro figli, i loro nipoti e le loro mogli. Anche l’assenzio ha un sapore più dolce al palato. Non è assimilabile a tanta violenza, a tanto dolore. Come una perla che si indossa sulla pelle incancrenita, così è la sottomissione che numerosi uomini ardiscono verso i poveri, i docili, i più sensibili alle miserie altrui e se ne fanno carico: i buoni. Ed è proprio questo il mio popolo, quello per il quale ho preparato un banchetto di vivande assai grasse, con spezie speciali e aromi, tanti e preziosi. La loro fine, decretata dagli empi, pare stoltezza, scandalo, o addirittura follia e scarto per molti. Eppure questa storia ho desiderato fosse la mia storia. Chi, vedendo un fratello ferito mortalmente, uomo come lui, anche se di paese diverso, in combutta, in guerra, nutre il coraggio e ambisce al dovere di una costituzione forse mai eletta dal popolo? Questo paese, dove il fratello di nessuno muore, è il mio luogo. E io sono la Nazione in colui che sono.
(18/02/2022)