La realtà si dimostra da uno spazio senza luce. E lo fa utilizzando se stessa nell’oscura parola. Patendo freddezza claustrale, limitrofa, in assenza di comprensivi e regolamentari fenomeni, nonostante il differenziale puro del tempo sia nel suo fattore di logica meccanica caricato a braccio, essa dinamizza tutto l’esistere che la rappresenta in funzione dell’imminente collasso termo-radioattivo indotto dal cortocircuito delle persistenti permanenze neuronali capacitive, organizzative, decisionali, di chi male interpreta la sua epoca più drammatica, certamente l’ultima. L’espansione volge al suo compimento. Con l’involuzione dei valori tutti l’espressione del cosmo è quasi annullata. Restano particelle di mediazioni sulfuree, dai toni terracquei. Mentre l’uomo tenta di conquistare il pianeta di sé, popolato da periferiche ombre isteriche dall’esclusivo idioma babelico, non distante dalla naturale forma delle cause e dei risultati, dai princìpi e dalle regole, l’idolo atomizzato col suo algoritmo simpatico sta per cancellare la sua ultima ricerca macro ermetica dal reattore ultra-bellico. E intanto si restituisce allo schiavo decaduto la formula della sua nativa gratuità. È il giubileo dei giubilei. Giubilate, al suono del corno, per la morte del capro dalle quattro corna, dell’ariete del mezzogiorno e del montone della perdizione! La realtà si dimostra da uno spazio senza luce. E lo fa utilizzando se stessa nell’oscura parola.
(02/12/2024)