La parabola del sasso e del legno
Nell’undicesimo mese, il dieci del mese, del ventitreesimo anno della duemillesima età, in pieno tempo di guerra, alla dodicesima ora di una storia già scritta la parola del Signore è scesa su di me, al quarantanovesimo anno, in questi termini:
Figlio dell’uomo, ecco. Io ti mando alla nazione assassina come a quella irresponsabile; non dimenticarti della sprovveduta. Tu parlerai ad esse così, con una parabola che sfocia da un alveo adulante affinché sia più intensa la loro colpa ed io non mi commuova, domani, per il loro giusto soffrire, né li perdoni perché non si sono ravveduti né convertiti. Ebbene, tu intonerai per loro questo satirico lamento:
Ho perduto tutto.
Anche il dolore mi è estraneo.
Per tale avvenimento
non si lacera il mio cuore,
anzi.
Alle mie mammelle
non si uniscono labbra
perché a causa del mio latte
ai miei figli
si va sempre più attaccando
l’osso alla lingua
e consumandosi il palato.
La gloria che indossavo
per il nome
che mi fu cucito sul petto
sin da bambina
mi è stata strappata,
recisa
come un fiore di campo
stramazzato dalla furia di un vento
che più non vuole
possedere memoria.
Con quale virulenza
allevai ogni mio possedimento
lo sa solo il mio ventre.
Hanno smesso in me gli anni
le loro migliori stagioni
e le mie viscere
sono come sospese
tra pensieri di sangue e di carne.
Oh, stoltezza delle spine!
Più mi pungono
e più ne faccio un ornamento
per la mia bocca malvagia,
un alimento profano
per chi ancora mi bacia.
Mangioni, mangioni e beoni
della mia perversità adorante il male:
ecco il vostro tenebroso martirio.
Ed è da loro, i dannati,
per la vita che in me sciupano,
tradiscono,
che traggo linfa di supplizio:
sì, del loro traviamento
io mi diletto e me ne compiaccio.
In fondo sono un gregge disperso
e il loro pastore
non vorrà certo più condurli
al pascolo in buone pasture.
Ed ecco. Il Signore dice:
Figlio dell’uomo, che te ne pare?
Può un sasso piccolo
cozzare la nuvola,
fosse anche la più campestre?
E può un pezzo di legno,
fosse anche il più verde,
bruciare nel mugghio
delle impetuose acque?
Eppure io ti dico che il sasso
avrà la nuvola come preda
e che le acque impetuose
non resisteranno
al turbinìo di fuoco
divenendo, come il legno,
incandescenti.
Le nazioni credono
di essere governate dai potenti
ed i potenti credono
di governare le nazioni,
opprimendole.
Ebbene, tu dirai ai loro governanti
questa parola
che oggi faccio fiorire
tra le tue labbra
per la mia lode
e per la mia gloria.
Per la loro vergogna
e per la loro condanna.
Così dice Dio, il Signore:
Io sono il buon Pastore
e conosco tutte le mie pecore,
anche quelle più lontane.
Avverrà che le passerò
una ad una in rassegna
e le dividerò:
alcune alla mia destra
e tutte le altre alla mia sinistra.
Per quelle poste alla mia sinistra
non avrò compassione
né proverò alcuna pietà.
Ma guai.
Guai a coloro
che si sono macchiati
del più efferato delitto:
disperdere il mio gregge,
quello che avevo loro affidato.
Lì tratterò secondo giustizia,
come pula che il vento disperde,
e userò il ventilabro
per ripulire il mio granaio
nel quale lascerò sussistere
soltanto il frumento migliore.
Il sasso che ha predato la nuvola
io lo farò estinguere
al pari della paglia
col fuoco inestinguibile
di quel legno verde
posato tra le incandescenti acque.
Questo accadrà perché
anziché pascere il mio gregge
ne avete avvelenato i pascoli
e quando ciò non è accaduto
voi stessi vi siete cibati
delle pecore grasse
e delle pecore magre
facendo indegnamente vostro
il loro diritto alla vita.
Avete calpestato l’esistenza
sporcandone, così, la sua sacralità.
La stessa
che vi introdurrà nei miei pascoli,
tra il mio gregge,
per un giudizio già scritto
di condanna.
Le mie pecore
non saranno più oggetto
del disprezzo vostro
e di quello delle nazioni.
Io do la vita per le mie pecore
e ho il potere di riprendermela.
Esse conoscono la mia voce
e tutte mi seguono.
Alcune le porterò sulle mie spalle,
altre staranno tra le mie braccia,
e al loro passaggio
anche i burroni
si ammanteranno di primizie
e le più alte vette s’inchineranno.
Chicchi di brina
scioglieranno come neve
la più impregnata sozzura dai campi,
su ogni colle elevato,
e io stesso guiderò il mio gregge
facendolo passare, quieto,
per la Porta stretta,
quella che dà ai pascoli ubertosi
della eterna vita.
Vindice del sangue,
mi sono scelto un resto
che farà ritorno a me, al suo Dio,
e il cui canto si eleverà festoso,
esultante,
perché di un popolo a me fedele
che più di tutti ho gradito.
(10/11/2023)