Affinché non solo l’idea ma anche il pensiero nell’alveo della sua concezione lasci spazio, in gentili e plenarie assemblee, alla meridiana della promessa nel grande parallelo di ogni speranza io pongo il riflesso, poiché d’altro, d’oltre non potrei lasciare intendere a ogni sapienza umana, derivante dunque unicamente dalle facoltà intellettive, pongo il riflesso sulla condizione in cui ogni figlio di questa terra versa e come sangue che si sparge su di essa si astringe l’esistenza, annotta. Se il buio è, è in quanto esso dissipi la sua ombra lasciando avanzare colui che fosse prima dello stesso. Dunque il canto dell’usignolo che previene ogni nebbia e delicatamente annuncia che il dolcissimo mistero è alla porta. Adesso, nella ora unica nella quale si lascia strofinare ogni passione, ogni desiderio per la consunzione dell’anima occorre udire, e bene udire, il rintocco immateriale di ciò che per mai altera comprensione è nota in tutti come disubbidienza parziale, in una condizione civile, di una subordinata estrapolazione del malessere che ravvolge l’intera dimensione del coesistere. In scarno mio dire, laddove abbonda la colpa è perché possa presentarsi la grazia. Dove vige il peccato? È per volontà che lo stesso peccato nemmeno conosce, poiché sia resa nota la gloria della misericordia che tutto invade. Orbene, la giustizia. Dare al giusto l’ingiusto non è coerente, non è legale. Ma anche questa è giustizia. Affermare il contrario è illegittimo, sì, ma naturale. Resta la parola nella sua origine. Nessuno si vanti del bene, del male. Il vanto si vanti da se. Su questa semiretta dove il buio e la luce segmentano i loro simbiotici travagli ecco, io corro e spero. E avanzando busso.
(26/01/2022)