“Se solo tu sapessi chi è che ti chiede da bere non avresti più sete”. Queste le parole che mai potrò dimenticare.
Al pozzo dei miei risentimenti, quando il giorno è già buio e l’ora meno tonda del solito, piatta, nell’illusione di una vita ormai bruciata, severa mi recai al sepolcro della mia fusione. I miei mariti, se così li posso ancora definire, mi avevano tutti e cinque abbandonata. Nessuna pena per me, ed io nessun dolore. Così è l’esistenza quando nemmeno ti senti creatura del tuo grembo, quando le tue creature provengono da diverse colpe, quando ti senti orfana di parenti e di patria.
Quel giorno mi piombò addosso come l’aquila ai suoi delfini anela e contrastata l’onda nulla potei contro la furia del mare. Spogliata perfino negli affetti e della sfiducia ebbi solo da compiere ciò che mi era stato riservato.
E bevve a pieno petto ed io della mia sete niente più provai. Il Giudeo che pregò ad una donna samaritana. Questa la mia rivelazione. Sì perché non si limitò a chiedere, ma pregò per me, per la mia generazione, per il mio essere pagana.
E in tanti credettero non alle mie parole, prostituta finanche della mia stessa parola agli occhi del paese, ma al segno, alla opera, e alla manifestazione che preservò per tutti loro.
Che io sia fedele al patriarca Giacobbe che quel pozzo aveva destinato dapprima per gli ebrei ed infine attinto per il Figlio dell’uomo. Oh, amore che d’improvviso s’aprì a spazio nel mio cosmo neonato, petto che della fibrillazione conobbe il patire e la gloria.
Genti tutte, l’emorragia della mia sete m’ha salvata.
(04/06/2020)