La vampa, breve, non attenua la scintilla vasta



Nel secondo mese, il ventisettesimo giorno del mese, del ventiquattresimo anno della duemillesima età, alla dodicesima ora di una storia già scritta, la parola del Signore è scesa su di me, al quarantanovesimo anno, in questi termini:

La vampa, breve,
non attenua la scintilla vasta.
Incapaci di esaminare
dapprima le opere
delle proprie coscienze
e di attuare,
dagli esercizi di negoziazione,
omogenei e coerenti
bilanci di pace,
voi mediate sulle catalessi
delle vostre stesse tasche,
sui benefici prospettici
di probabilità mai concepite
relative a pause umanitarie,
tregue disarmate,
quando ad edurre
il pensiero fratricida
che i popoli consuma
è il tarlo prolificante in voi
che mai si spegne,
che mai tace.
Ecco. Io sto per validare
su gran parte dei territori
baciati dai cerimoniali da battaglia,
interrogati senza riguardo
dalle terribili fiere del deserto,
una contaminazione del numero,
della formula, del genere.
Ogni stagione, al suo passaggio,
urlerà fino alle doglie
più massacranti
per la sorte dei miei non popoli.
Infatti vi saranno
i destinati tra i destini
e i destini tra i destinati:
chi agli assalti da cielo e da terra,
chi alla fame e alla sete,
chi al colera e alla peste.
Come si preme l’acino
quando è maturo
per farne uscire il frutto,
così io vigilo sul prodotto
della mia vigna,
affinché, a stabilito tempo,
io stesso m’istituisca
come risultato ultimo e perfetto
per la grande vendemmia.
State ingrossando il cuore
con le vostre azioni inique,
eppure proseguite senza freni,
dando luogo a feroci distruzioni
e all’annientamento di inermi creature,
genocidi spalmati sulle piazze giornaliere
delle colazioni transatlantiche, mondiali,
o adulteri della vita, o assassini.
Sì. Voi andate ingrossando
un cuore idolatra e faccendiere e,
per conformazione,
del tutto simile alla pietra.
Se solo vorreste convertirlo alla luce,
al giorno,
lasciandolo libero di smagrire
nelle sue pulsazioni di muscolo.
Ma siete inidonei alle carezze dell’alba,
alla premura dei suoi selettivi atomi:
progenie dall’incestuoso affare ribelle,
non tornerò sul torchio
una seconda volta per voi
poiché siete disseccata materia.
Lascerò che si abbeverino i porci
e che s’ingrassino le serpi
nella greppia abbandonata
del più grande cimitero vivente
finché la vampa, breve,
si formulerà nel numero,
nel genere di ogni suo fenomeno,
per l’adempimento a sacrificio
della sua stessa scintilla,
violentemente vasta.

Intendete, adesso, e intendete per bene,
la parola dell’unico Dio, l’Onnipotente:

Udire un lamento di carne
per tramutarlo in tralcio:
questa sarà la mia opera,
l’opera del Signore degli eserciti,
quando la compassione
avrà un luogo per germogliare
con la giustizia e il diritto
dinanzi a cotanta
esecrabile infamia.
Esultate pure, o vili, ancor’ oggi,
voi che vi ritenete
prodi in una guerra
che combattete per demolire,
per sradicare e per annientare,
e fedeli a una missione
che non io vi ho affidato.
Ebbene, io vi dico
che perfino le bestie selvatiche
attendono la mia ricompensa,
il preannunziato giorno,
quando riunirò tutti i miei eletti
dai quattro mari restanti
per l’unico e vero mattino
in cui saluterò, a eterna vita,
la nuova terra
dai miei cieli fioriti d’aprile.

(27/02/2024)