Nel giorno ventesimo del terzo mese, al venticinquesimo anno della duemillesima età, alla dodicesima ora germogliata come una vigilia di primavera nell’abisso più profondo cibante l’urlo della intera umanità, la mano del Signore è scesa su di me come sua parola, in questi termini esatti:
Figlio dell’uomo, volgi il tuo sguardo a oriente, lì dove sorse in terra la mia unigenita primizia, e dove ogni volto umano dovrebbe chinarsi sette volte al giorno per rendermi lode, onore, gloria. Dirai così: non è bene, non è bene che sia tutto laccio e cenere! Vi mostra i vostri abomini, il Signore, per i quali vi rimprovera. Dunque, ammainate l’orgoglio e non lasciatevi più ammarare dalla superbia.
Brucia,
brucia la città sommersa
e si tinge ancora di sangue la terra.
Non volete comprendere.
Non amate ascoltare.
Non accettate il correttivo consiglio.
Siete come la sabbia del mare.
Vi ripiegate nei dorsi delle calette più nascoste
per produrre il vostro argilloso conguaglio
in sostanze di vitreo fango.
Anche i sordi cantano,
in iperboli di consapevolezza e dannazione,
il vostro aritmetico nome.
Una terribile disfatta è calcolabile per la civiltà,
catastrofe e tortura per ogni uomo.
È diventata una tenda divelta,
come capanna stracciata
si configura l’esistenza di troppi.
E bambini effondono respiri esanimi
dinanzi alle loro madri
che di lamentarsi, per il frutto del loro grembo,
non si stancheranno mai.
Madri che non vogliono più essere,
da alcuna forma di vita, sostenute, consolate.
In orribili scenari di guerra voi avanzate,
ognuno per il suo tornaconto periferico,
il suo cadaverico e capriccioso affare.
Terribile.
La notte si chiude nei volti di tanti uomini
con alle spalle ben puntata la morte
e non rincasa,
neanche quando il giorno pianta
i suoi chicchi di luce e di grano
negli ospedali da frontiera,
primi sepolcri da dematerializzare
dove nemmeno la dignità e il pudore
hanno il diritto ad essere correttamente seppelliti.
Ma ecco. Così parla il Signore dei Signori,
Colui che i mari ha fondato, dopo aver irrigato, con la sua parola, la luce eterna che separa equamente i cieli dalla terra:
Ho cresciuto cuori in ogni seno.
Hanno allevato bestie.
Sulle alture hanno sacrificato agli idoli
ciò che più di tutto andava custodito, protetto.
Poi come tanti stalloni da recinto
si sono sottomessi
a vogliose puledre mai dome,
perennemente in calore:
le loro unioni, i loro incesti,
puzzavano come dimenticate paludi
arse con l’argilla e con l’arena.
E oggi vanno compiendosi,
queste macabre oscenità,
sotto un cielo
che vorrebbe vomitare tutte le sue folgori
per, infine, arrotolarsi
nel suo squarcio imponderabile.
Dinanzi a tanta volgare, putrefacente condotta,
io odo il grido di Sodoma,
la più corrotta,
la quale chiede giustizia e vendetta.
Sì. Essa chiede vendetta e giustizia
per i miei figli e per i miei angeli.
A chi paragonerò, dunque,
questa generazione di serpenti?
Io ho già pronti, per essa,
un documento di ripudio
e una risoluzione di condanna.
Fermatevi.
Fermatevi e intendete.
Nessun ladro, nessun omicida, nessun cane.
Chi abbaia e morde inermi vite umane
io lo consumerò
come si consumano le carrube,
nei campi siccitosi dei cetrioli
desiderati dalle bestie da soma,
dai vermi e dai maiali.
Avrà come sorte la buia sorte della spada.
Tornate al cuore in seno all’uomo.
Convertitevi.
Riconsegnate le vostre armi
alla nera sorte delle armi.
Promuovete speranza
a chi l’avete derubata.
Non concedete sonno ai vostri occhi
se prima non tornate sulla giusta via
per consolare anzitutto la pace
che da voi è stata così terribilmente offesa,
trucidata.
E date il pane agli affamati
e acqua agli assetati,
per causa di quella giustizia
che avete negato,
con malvagità inescusabile, agli uomini,
preferendo ai giusti,
che tanto fastidio vi occorrono,
perfino i minerali e le bestie.
Io sto per addurre,
sulla faccia di molte terre,
la fame per la giustizia, per la parola stessa,
contro la vostra bellicosa quiete fallace,
tutt’ancora da concordare
e già pronta per il grande assalto finale,
per lo pneumatico sfacelo.
Voi avete inteso.
Sì. Voi avete inteso.
Eppure vi ergete come rigogliosi cedri
su quelle stesse alture
dove avete stramazzato
i miei più candidi pascoli.
Prima che io vi citi nel definitivo giudizio
estorcete a voi stessi sentimento e ragione,
allontanandovi da qualsiasi forma di iniquità,
di tangente, di obbrobrio,
i quali grondano senza sosta come sangue,
sangue che urla e si dimena
tra le vostre colpevoli mani.
Io giuro sul mio nome
che chi continuerà,
e più si eleverà su quelle alture,
lo renderò agli occhi dei suoi occhi,
dell’altura, dei popoli e dell’intero mondo,
come un tamerisco avvizzito nella steppa;
un tizzone inutile,
inutile perfino per aizzare
la più innocua delle fiamme.
Perché brucia la città,
brucia la città sommersa
e si tinge di sangue la terra.
Non volete comprendere.
Non amate ascoltare.
Non accettate il correttivo consiglio.
Siete come la sabbia del mare.
E io vi dico che se non cambiate condotta,
se non vi convertite,
perirete tutti allo stesso modo:
ingoiati, come tanti astri bui,
dal cielo che tanto andate infangando.
Io, che sabbia vi ho reso
dinanzi all’urlo feroce di una intera umanità,
urlo che, oggi,
ha più fame dell’orgoglio unito alla superbia,
e che è pronto ad emergere
dall’abisso più profondo del più morto dei mari,
in questi giorni interminabili di caligine
e in queste maledette notti di tempesta.
Perché non c’è più bene.
E se non c’è più bene per causa vostra,
su di voi e per ogni vostra causa
piomberà l’ira del Dio vivente,
oracolo del Signore,
e sarà tutto laccio e cenere!
(20/03/2025)