Lettera all’Umanità in Tempo di Avvento



Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto!

(Ct 2,10)


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Carissimi, se è vero che in ogni momento della storia Dio si è rivelato agli uomini per soccorrerli con la umana salvezza è giunto il tempo di dare pur gloria al Signore il quale, per manifestare, così, tutta la sua grandezza, vuole servirsi di noi, attraverso la rivelazione, adesso, dei suoi amati figli.

Tempo di Avvento. Come ci suggerisce la parola, momento di salvezza. Perché? Anzitutto esso si affaccia in un frammento storico ‘chiave’ per la nostra civiltà: il Giubileo, porta di grazia e di speranza che vuole definitivamente spalancarsi alla redenzione di una offesa umanità. Sì. Tempo di Avvento. Ma è anche il tempo del diritto, della giustizia, del giudizio. Ad occhi distratti parrebbe più un momento di lesione tra uomo e spirito, come tra giuntura e midollo. Ma sono occhi spenti quelli che non traggono dal male il bene, quelli che nel fuoco non scorgono la pace con la sua immarcescibile spada a due tagli. L’escatologia dei tempi non è soltanto un concetto, tantomeno può ridursi a una dottrina per pochi adepti o addirittura svilupparsi come una caratteristica filosofica dal fatuo inganno. No. Lasciamo che a turbarsi siano davvero coloro i quali sono soliti nel capovolgere il mistero della salvezza dell’umanità in uno sciame verbale fraudolento e migratorio, tramutando il Logos divino con una men che meno indegna sismica belligeranza da disporre, ben redistribuita, sui secretati tavoli della scienza diplomatica.

Ma, allora, cosa realmente vuol dirci questo tempo di Avvento? Una notizia. La più bella notizia. Il Regno dei cieli è qui. È tra noi. Consoliamoci, consoliamoci a vicenda perché ne abbiamo ben donde. Gioia. Quanta gioia proveremo quando andremo nella casa del nostro Dio. Eppure siamo noi quella casa. Forse lo abbiamo solo dimenticato o appena non ce ne siamo resi conto. Una casa in attesa. E se, dunque, siamo noi la casa, e se sempre noi siamo in attesa, questo significherà pure che noi siamo Avvento. Quale gioia, carissimi. Adesso i nostri piedi sono fermi alle tue porte, Gerusalemme. Come sono belli questi piedi. Appartengono a coloro i quali hanno il coraggio di affermare la bellezza della libertà, del suo salvifico messaggio, sono i passi benedetti di coloro i quali non narrano soltanto ma annunciano la pace, trasmettendola al mondo. La parola. Quanta grazia può racchiudere la parola. Essa non è un fiore. A confronto il fiore è davvero cosa caduca, mortale. E come non potrebbe essere altrimenti? L’uomo è come il fiore. Passa il vento, il sole del mezzogiorno brucia il campo e tutto avvizzisce per opera degli elementi. Ma la parola resta. Immacolata. È la parola di Dio. Questo è amore. Eppure siamo noi destinati a quell’amore. Sì. Noi siamo destinati ad essere addirittura casa, per tanto amore. Oh, quale mirifico momento suole affacciarsi ai nostri affannati pensieri: essere Avvento.

Godiamo, imperfetti come siamo, del soave profumo visivo, saggiando dei frutti del Giardino col cuore, poiché invitati dal nostro stesso Dio. A quale beatifica visione siamo stati noi predestinati? Una sinestesia Celeste potremmo dichiararla o, semplicemente, una riconciliazione tra cielo e terra. Noi, infatti, anticipiamo, in questi giorni così drammatici e santi, la fine dei tempi poiché, attivando il rinnovamento universale con le nostre anime, ci facciamo tende salde, tabernacoli viventi per il Signore Dio, per la sua Somma Onnipresenza. Ecco l’Avvento. Ecco noi. Ecco il Regno dei cieli.

Adesso è il momento. Il momento di sforzarci ad essere tutti cittadini e tutti uniti per la venuta della Gerusalemme Celeste. Quale gioia, carissimi. Una casa, siamo noi, che si fa città: Città santa. E allora, nell’attesa che si compia la beata speranza, come raggi di pura luce, sentiamoci protesi verso la parola affinché lo stesso Verbo incarnato, il Cristo, faccia di noi l’ultima sua rivelazione. E così, con la sua seconda e ultima venuta, redima quella umanità che lo attende al pari di una donna gravida nelle sue belle doglie del parto. Rallegrati, dunque, tu che stai soffrendo di tali doglie. Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna.

Carissimi, vi saluto nel vostro anelito di speranza, che è pari al mio e che è fedele al mistero per il quale lo stiamo invocando, ovvero nella certezza dell’Avvento glorioso di Cristo. Egli, lo Sposo Supremo, è l’unico che, già passato tra noi, ha il potere di riconciliare definitivamente i cieli e la terra perché Colui che ce lo ha inviato, attraverso il sangue della sua alleanza, ne creerà di nuovi.

Vi esorto ad una fede degna e sincera, chiedendovi di credere nella parola che non muore, poiché verace.

Preghiamo. Quale modo più nobile, la preghiera, che travalica il bisogno per attestarsi a comunione con l’Altissimo, abbiamo per amare, anzitutto, e per sentirci amati; chiamati per nome e potendo, così, chiamare Dio col suo vero nome: Papà.

La pace riempia i nostri cuori, i cuori delle case, dunque, i cuori dell’Avvento, traversati dal tempo dell’Eternità.

Tutto ha principio in Cristo. Tutto procede in Cristo. Tutto ha fine in Cristo.

La grazia di Colui che, Uno e Trino, possiede gloria, potenza e regno, ci colmi col suo Spirito di ogni benedizione facendo di noi, con la sua ulteriore manifestazione di grazia, una carezza paterna e materna per i popoli, a travalicata umanità.

Possano le nazioni essere battezzate nella Pace, affinché il loro nome non muoia ma si unisca a quello dell’Altissimo.

Voglia il Principe della Pace ricordarsi dei nostri nomi, infine, i nostri nomi già scritti nel Libro della Vita. Amen.


(10/12/2024)