Non la distanza è a separarci, no, ma l’ombra di un atomo ribelle che più di qualcuno ha preferito armare, armare di siero e idrogeno. Sbavino pure con il pregiato frutto della vite i cani, portati a spasso dai loro proprietari con i guinzagli a serramanico, latrando a turni alterni. Le museruole le hanno abbottonate, strette, sul viso dei lattanti. Invano. E si dicono tra loro: chi ci vede, tanto! Priviamoli pure del cibo quotidiano. Di costoro se ne ride chi abita i cieli. Provvederà a sostenere i suoi piccoli, quando il mondo cadrà nel sonno, con le primizie della sua stessa carne. E per tutto questo all’uomo cos’è che resta del suo cuore, e della vita cos’altro ne rimane? No. Non è la distanza a separarci. Ma l’ombra di un atomo ribelle nella cui teoria abbiamo eclissato il giorno e la notte prima di chiamarci un’ultima volta per nome, in quella parte di una umanità che nemmeno più riconosco, con un bacio – ahinoi – stretto, innocente, e abbottonato. E così è convenuto, affinché si adempia ogni giustizia.
(29/11/2024)