L’unità cosmica (nelle udibili auree del presente)

La necessità io ho visto farsi voce dell’uomo quando annotta il sole senza consentire armonia nel giuoco placido dei suoi elementi. Oltre me nessuno, di chi mi giaceva accanto, l’ha veduta nella sua drammatica esistenza, nonostante essa fosse emersa per dare testimonianza alla luce. Era quella vera, la piena sintesi dell’incontro tra spirito e anima nel corpo etereo della più abbondante, reciproca volontà. Sorta prima di ogni tempo concede allo spazio divenente di oltrepassare la durata incalcolabile dell’unita cosmica. Questa, penetrando l’anelito immutabile da se stesso generato che concede alla creazione tutta l’espansione di ciò che già è, sublima il concatenarsi dei fattori emozionali, principianti nell’indivisibile sostanza non sostenuta da alcuna forma di esistenza, per la saturazione del cooperante seme senz’alcuna genealogia atto alla partizione metamorfica del suono. Dunque l’anestesia del vuoto,

entro i limiti permessi dai moti gemellari magnetici,

rende l’evoluta voce dell’uomo

farsi specie a se,

sollevando quella primigenia necessità

di lascarsi osservare nel caotico spasmo degli elementi,

affinché la comprensione non bissi la conoscenza

e l’atto del pensiero natìo giunga immoto,

tra le sentenze clamorose dell’indefinito,

nelle udibili auree del presente

provocate dal risveglio del nuovo.

(07/02/2022)