S’abbrivida nel suono
il tonfo libero d’un canto dinanzi a te, o uomo,
avvicinato sempre più a quel formicolio intenso
dei tuoi tepori mattutini. Ma lo scettro.
Il pasciuto battito che ti scuote,
d’un’effimera vita mai elaborata in fasce,
sembrerebbe livido,
eppure nuovo ancora è questo sangue,
nuovo come io mai smetterò di stillarlo,
esatto e misurato, come al miele il favo,
come alla tua bocca scarnita
non lascerò che il fiele si estingua
finché il tuo occhio scoperto
non ne inzuppi l’orbita sua sino alla feccia,
sino al dovere che giorno dopo giorno
t’ingrossa, t’ingrossa. Ma lo scettro.
Sembrerebbe pace, pace sembrerebbe
la sostanza con cui nutri le tue mille e mille bocche,
e amore, amore e amore nel tuo ventre brilla
in un’orgia benestante d’illusione,
di collettivo suicidio. Ebbene io plaudo,
io plaudo a questo plagio essenziale
e democratico, poiché ogni diritto è una festa
ed ogni paese è come un sabato dimenticato,
figlio di una tramortita domenica. Ma lo scettro.
Eppure è inverno, inverno è o uomo, o smorto,
brivido servo d’un tonfo sgovernato dal cielo
in un di qua troneggiato dalle sette piaghe
intonate dalle sette bocche dei miei sette angeli.
(21/12/2021)