Mi accorgo d’esistere sempre di più
nel gran bisogno del silenzio,
lì dove né giorno né notte
conoscono le insenature
sì profonde e vaste
di una terra
che va consolidando i nostri umori,
le rifrazioni non umane
dell’essere che al tutto ci conduce,
dimorando amore
nell’affermarsi della vita.
E se liberamente
siamo sopravvestiti di luce,
dall’esecuzione magistrale
di un divenire tempo,
è altrettanto vero che la chiarità
che alimenta l’assieme animante
ogni nostra fulgida riproduzione
è la beneamata prole dell’estate
nella quale siamo immersi
quali candidi frutti
di un inconteso albore.
Passano così gli istanti,
come anni che s’irrorano di rugiada
lasciando spoglie
le loro storiche sostanze
e snellendo la loro immota sete
tra l’afa ormai consunta.
Esatti come la tua bellezza,
lontani nella penombra
che non annotta i fiumi
del mio peregrinare verso te.
Perché ciò che l’imperituro
muove a coraggio entro noi
ecco che proprio noi lo mutiamo
in un graduale stato
di coscienza visiva
ove la ragione,
pur non morendo,
spalanca lo spazio meno acerbo
all’incontrastabile parola,
cielo e verità nei quali
anche la prodigiosa tempesta
cede percorso e potenza
al germoglio più fertile
gocciante la condizione naturale
dello spiccarci uniti
nel desiderio oltre numerico di noi.
(30/08/2023)