Nel pentagramma delle tue mani
Degnarmi a di che essere, io, alitante in una realtà che altro non promuove che partiture, intermezzi, esecuzioni sommarie di troppi tempi a spartiacque con tremebonde serie di tregue intervallate da un fittizio armistizio di un genere mai concepito e che ciononostante sembra emergere dalle barriere umane? Degnarmi d’essere, di che, inciso – io – in una melodia parallela concepita per una dimensione alta che le sue doglie afferma in una sequenza di opere che soltanto pace osano bissare ed amore, questo raqama trionfante tra le vittorie esaltato nel suo celeste brillare da ogni spirito che gli fa da corona poiché regina superna e imperatrice di tutti i nomi? Ecco. Ultima parola (di quel che ci vuole uniti nella vita) di un canto che neanche io, nemmeno io so di essere, in questa voce che incarna ciò che per ella da sempre io sono – e madre, e figlio, e padre – non terminando i cori dell’alba, non terminando i cori dell’aurora. Pur mai, pur mai…
(24/04/2023)