Due vasi si sono concentrati tra i miei occhi.
Uno di essi contiene un rombo di luci fresche,
l’altro, invece, un ettolitro di luce avariata.
Chi si domanderà perché tale ingiustizia,
perché tanto splendore?
E chi berrà dal vaso inerme
e chi da quello rabboccante
il frutto del mio creato e quello del mio furore?
Ecco. I miei occhi sono pieni di lacrime,
sono il frutto vivo e vero per la sazietà dei popoli.
Esse sono scivolate dal mio sentire,
dalla mia compassione,
pur di penetrare nell’insorta vedovanza delle anime,
nei meandri asfissiati dei più asettici cuori.
Ponete, adesso, il veto dell’ignoranza,
il dattero nero sulla pianta mai nata,
perché troppo stanno soffrendo le mie lacrime
tra le feritoie disumane dell’umanità
causate dalla rogata ingiustizia
e dall’effimero orgoglio di alcune nazioni.
Che io, forse, non abbia la corretta volontà
per asciugare il mio sentire,
per contestare a me stesso una tale compassione?
Sarò io, invero, colui che spezzerà le catene inique
con le quali state condannando popoli inermi
concentrando innanzi ai due infecondi tramonti,
ad oriente e ad occidente, i vasi illuminati e marci
del giudizio e della legge,
della riconoscenza e del definitivo sconforto.
Romperò con voi la mia duplice alleanza
stabilita nelle tende dei vostri padri
con i vostri predecessori
e farò dei vostri palazzi,
ove si consumano le più efferate violenze,
un obbrobrio agli occhi dei sopravvissuti
i quali calpesteranno i vetri dei cocci rimasti
e i suffragi delle vostre condanne
per rimarginare le loro ferite
nel plebiscito del mio inderogabile amore.
Io non ho mai predetto, tantomeno prevedo.
Io dunque ho detto ed i miei occhi,
i miei occhi illacrimati, ancora parlano.
(03/03/2022)