Mi frastuoni del bello
con la geometria della tua voce,
con il ricamo liso della tua risata.
Ed io a te volgo il mio sguardo,
verso te muovo i miei pensieri,
spalancando il mio sentire,
e sempre in te
spargo la mia profusa parola,
schiera infallibile del mio vivere
e del mio rinascere.
Tu che sai porti al centro
della mia presente distanza
o all’echeggiato confine
della mia distante presenza
sei l’istante da istanziare
che muta in cenere semantica
perfino l’ambita fiaccola
dell’atomo selvatico.
Perché non sai di appartenerti
e mi appartieni
così come non so di appartenermi
e ti appartengo.
Una volontà equivalente
che disfa il nostro primitivo algebra
in più contatti di presagio.
E mentre compongo
l’essere che mi sostanzia
coeso agli spazi elisi delle ricongiunzioni
tra creatura e creato
tu vai leggera,
oltre ogni mondo,
eleggendoti a oracolo vivente
nel rivelarsi universale
come nel pentagramma interminabile
del mio snudato afflato.
(31/07/2023)