Nel solenne riposo dell’origine e del definitivo
L’inconcepibile mano
che trasse fuori dai tuoi occhi disanimati
l’ignota stagione dell’inquieto presagio
va schiaffeggiando la mia guancia riflessa,
la roteante.
È così che io vado placando la sua ira:
versando sangue di amicizia
sugli anni che riesce a contare,
con discernimento plurimo,
il suo palmo,
pietra d’inciampo esposta al furore del vento
come nemmeno le anelanti cerve
immaginano.
Le migranti.
E i tuoi occhi esondano
tra le perplessità dei popoli
proiettati ognuno nell’ordito del proprio agguato,
depistati dalle combutte dei loro dissimili,
oggi che hai preferito alla materia
la nullificazione del tempo
generando,
con equidistanti veglie,
l’uomo, il figlio,
nella devastata terra dei noialtri.
Sì. È così che io vado placando la sua ira:
i passaggi delle età dei miei giorni
e delle mie notti
li vado scomponendo
come alluvioni di sinapsi tra le sue doglie,
le sue doglie pure, catartiche.
E la vita –
sterminato afflato
trasceso nei liberatori amplessi delle similitudini
e che percorre l’infinito riflesso
per fare il suo rientro roteante
in tanto immutato albore –
la vita innesca
armonie caotiche ora, adesso parole da brillare,
tra le storicizzate labbra delle più inconosciute larve
le quali,
alloggiate presso le atmosfere delle vigne
mai metamorfizzate, rugiadose
cantano il nome dell’uomo
con agli occhi le stagioni del vento, – le sette pietre sapienti,
quando, per le generazioni di equidistanti veglie,
il figlio mi riconosce – grembo che non cede alla sua doglia –
nel solenne riposo dell’origine e del definitivo.
La prima e ultima domenica!
(13/09/2024)