Andare,
affannando d’altrove
in petto l’alba
masticante i nostri passi,
nei rumori flessi
giù nel ventre atomizzato
per la caotica natività.
E questo è il dovere del suono, che mai s’interpone al motore
catartico della temporalità nel movimento atipico dei suoi nomi.
Adagio,
lavorando i luoghi
nei crepuscoli epici
coadiuvanti le nostre atmosfere,
costernare gli anni
sulle molteplicità delle insonnie
per afferrarne l’affinità.
E questo è il diritto della parola, seme fortificato in potenza
e cinetica dalla propria liceità nella fenomenale gradualità dei numi.