Nell’accattonaggio della vita
A quali terrori sì è votata questa nazione. Come cicogna che sperde il fattore del tempo e dell’orientamento così essa, nella valle del piacere, tra le stagioni alterne del gelo e della siccità, adesso non prova che il distacco dalla felice attesa, il rimpianto per la gioia dipartita, lo svantaggio abnorme dell’orrore. No. Non vi è rimedio per l’oltraggio costante, per l’abominio insonne che si perpetra da settentrione a meridione in ogni sua città calpestata dalla corruzione e dal sopruso, dal dilagare del male per lo stesso delinquere. Ecco. Il politico mangia a sbafo sul tavolo immondo dell’ubriacone ed il giudice pone come fragili sigilli i suoi zozzi gomiti sul pane destinato ai poveri. L’offesa non è per questo popolo oppresso dalla sete, dalla fame di giustizia e di buon governo, e la parte lesa è quella che si chiama in causa, i perpetui ladroni. L’ipocrisia riposa libera sul viso di tutti costoro, alterati dalla superbia e dalla loro voglia di denaro e potere, di potere e denaro, a qualsiasi costo, per la viltà che ovunque tra le loro gole e il loro ventre dilaga, nella fattispecie dello scherno e del sorriso sghembo adornato dal solito sberleffo. L’uomo dabbene è fuorviato da un sistema criminale che richiama l’ordine nella società così come il cacciatore spara la sua soddisfazione nella foresta. Così si alzano le reti, i muri e si lanciano lacci mentre si chiudono gli occhi del popolo destinato a inciampare nel buio di una società malata o a cadere, accecato, nella fossa più profonda. I capi non vedono, i governanti non ascoltano e i potenti, ricamando l’interesse di tutti costoro, un po’ qui e un po’ lì, opprimono il popolo. E tanta violenza è alla portata di tutte le coscienze quanto più è decretata a favore dei popoli.
Sono pieno di sdegno. Sì. Sono come una pentola che bolle con lo sdegno del Signore.
Vi fate tatuare in pieno volto
le abominazioni che commettete
e che commetterete,
vi lasciate incidere sul ventre
l’antico segno del male
come frutto atavico
delle vostre sfrenate passioni,
ponendo sul petto idoli
che vi rattoppano il cuore
e dovrei tacere?
E per cosa dovrei tacere?
Per chi dovrei farlo?
Una volta, in un tempo
che nemmeno vi appartiene,
scesi in polemica
con i vostri padri,
pur di non cancellare
il loro ricordo dalla terra,
dalla mia terra,
dice l’Altissimo,
mio Dio e mio Signore.
Oggi io sono tra di voi
per chi polemizza e contesta,
infangando me, la verità.
Io vi ho chiamati per nome.
L’uno dopo l’altro.
Io vi cito in giudizio.
L’altro dopo l’uno.
Io sono il Potente, il Governante, il Giudice.
Prima di disonorare la vostra specie,
razza insensibile e ribelle,
sorda a qualsiasi richiamo
paterno e materno,
lascerò che tanto pattume
venga a galleggiare
sulle sponde dei neonati deserti,
lì dove ancora oggi
si è udita una voce,
una voce che per mezzo mio
abbassa i colli ed eleva le steppe.
E anche se siete progenie infame,
prodotto di uva bastarda,
ciò è avvenuto affinché ci sia
tra di voi
chi si salvi non salvandosi
e ci sia chi non si salvi pur salvandosi,
per mezzo vostro,
che vi scambiate immunità e pugnalate
nell’accattonaggio della vita.
Oggi io sono tra di voi
per chi ha fame e sete di giustizia,
per chi è oppresso,
per chi bussa lacrimante
alla mia porta.
Io vi dico che costoro,
gli ultimi,
saranno quelli che nemmeno
vi contesteranno un giorno,
tale sarà, verso i Cieli ed il mio Regno,
la loro violenza.
L’unica che io ho ammesso
nella costituzione dei diritti dell’uomo,
come primo ed ultimo verso.
Voi invece,
gente degenera e maligna,
andrete con la pace,
la vostra pace tatuata sulla fronte
ad incornar le bestie delle bestie,
perché la vostra superbia,
la vostra avidità
e il vostro orgoglio vi hanno resi sordi,
come ieri,
e figli del diavolo.
(15/02/2023)