Nell’inseminato abbraccio di un dodecaedro olocausto
Progredisce l’andatura violenta della voce tua. Resteranno congiunzioni di memorie, avvallamenti di tensioni, mutanti detonatori di coscienze per ingenerare ciò che l’uomo, in sé sitibondo di mai spersi diorami spirituali, ha ben auscultato e di là, di là concepito entro la stupente lotta ereditata dalla fame sfamata con la tua parola, dalla sete dissetata nel volto che anticipa ogni sua volontà primigenia con apologetica luce, o cuore a sigillo, o porta senza maniglia, che vagli perfino la bontà del grano, l’impronta delle più oneste dita. Avemmo una sorella. Le demmo per nome pace. Cosa ne sarà di lei? Quanto ancora mancherà il canto suo nei cieli delle nostre estati? E vanno i cavalli, lavati con il munto latte della sera dai tre seni, con le loro facce a rombo e gli occhi spalancati da sei chiavi. Un rotolo, li insegue un rotolo scritto dall’esterno all’interno di quella lingua a due tagli che mi sta baciando con elettive intimità permanenti, per un insonorizzato istante sorpreso nell’immoto reverberare pianti di pianti, lamenti di lamenti e guai di guai. In questo tempo privo di genesi, in quella lotta stupente l’ingenerato io contemplo ed il bene nel quale mi compiaccio è l’amore che meraviglia l’anima nostra sospesa nell’acqua viva traboccante dai miei occhi colmi di una corsa sempre più estasiata dall’azzurro suono della sua immanente armonia e progredita nell’inseminato abbraccio di un dodecaedro olocausto. Oh, le mie piaghe! E questa guerra trafitta ovunque dal tuo spaventoso esercito, ordinato a battaglia. Ah, le tue mani, Pace! Le tue mani…
(27/04/2023)