Non sorgerà più il queto silenzio che mi tacque

Lì, da voi,
popoli senza più nome,
io anche sono.
Mia madre riposa,
riposa in una tomba di parole e di fango.
Ella non è morta.
Soltanto dorme.
Io attendo,
mentre solo resto,
senza nessuno che mi dondoli,
nella culla della sua speranza.
E apparentato ad alcuna terra
i cieli osservo,
cheto e silente,
in pieno giorno,
svezzato da un sole che sul vostro capo,
popoli senza più nome,
a voi s’approssima
mentre muta il suo calore luminoso
in tenebre gelide.
Mi desto, ecco.
C’è qualcuno
che ha preso a cantare
sulle mie labbra,
con un bacio nuovo,
il dolore di domani,
un dolore dignitosamente vestito
nel suo logorante dramma.
Chi potrebbe mai tradire
il respiro che non respirammo,
il sorriso che mai sorridemmo?
E scrocchia la pioggia,
scrocchia tra innumerevoli mani.
Le stesse che adesso sgiungono i minuti,
le ore, in pieno giorno.
Oh, i miei occhi!
I miei occhi
si consumano nell’irreparabile,
lì, da voi,
popoli senza più nome,
quando tutto riposa
in una tomba di parole e di fango.
Lasciamo, sì,
lasciamo che la tenebra
resti nella sua tenebra
e che il sole ridiventi,
con il suo luminoso calore,
il sole,
in pieno giorno.
Qualcuno ha ripreso a cantare
sulle mie labbra,
con un bacio nuovo,
il dolore del mancato domani
con le sue doglie materne
nel suo linguaggio di mamma.
E non sorge,
non sorgerà più
il queto silenzio
che mi tacque.

(04/11/2024)