Oggi che i cieli piangono e la terra muore
“Ascoltatemi, esperti della giustizia,
popolo che porti nel cuore la mia legge.
Non temete l’insulto degli uomini,
non vi spaventate per i loro scherni;
poiché le tarme li roderanno come una veste
e la tignola li roderà come lana,
ma la mia giustizia durerà per sempre,
la mia salvezza di generazione in generazione.”
(Is 51, 7-8)
Il Dio della pace e di ogni consolazione, il Signore degli eserciti, mi ha parlato in questi termini, oggi che i cieli piangono e la terra muore.
Vieni,
chiudi nelle mie stanze
il tuo cuore
ché desidero consolarlo.
Poiché l’inverno
è come un morto
che sto per suscitare,
un traditore molestato
eppoi trafitto
dal suo stesso peregrinare.
Ecco.
Io lascerò
che il suo sangue
sia bevuto
da tutte le nazioni.
Il calice.
Io ho pronto
il calice della mia presenza
e nessuno
potrà evitare
il prodotto della mia vigna
giacché mostrerò la mia destra,
con la quale, dapprincipio,
l’ho piantata.
Trafficanti, ladri,
adùlteri, omicidi,
idolatri e perversi:
ognuno
col suo carico di follìa,
ognuno
col suo potere da bestia
sul proprio cranio
che io renderò
ancora più ebbro,
ebbro di quella salvezza
che in tanti, invano,
attendono.
E tu, popolo mio,
di che dovresti aver timore?
Di un uomo
che avvizzisce a mezzogiorno,
esattamente come l’erba?
Inutilmente si affanna
nel compiere le sue opere,
le opere sue malvagie,
quando le tenebre fitte
ricoprono la terra,
poiché il suo vanto
è il disonore
ed ha come mantello
la viltà
per soffocare la sua coscienza
qualora ve ne fosse la necessità,
il bisogno.
Hanno mangiato pane
destinato ai cani
e i cani si sono saziati
col miele
che da sotterra
ho lasciato fuoriuscire
dalle plaghe delle steppe.
Ebbene costoro,
i primi,
sbaveranno
senza mostrare più
la ragione davanti ai loro simili
e i cani, invece,
vomiteranno erba.
Ecco.
Io faccio della mia siepe
una terra
ove crescano rovi e pruni
e lì il mio germoglio germoglierà
nella più fitta tempesta.
E ora, popolo mio,
sii tu a testimoniare
contro giustizia
o a favore della legge.
Potrei mai lasciare
che la mia vigna
resti tra le mani
di contadini assassini,
di mercenari senza scrupolo,
di avvoltoi senza più cielo
o di polloni bastardi?
Come la donna
ricca di figli sfiorisce
portando con se
petali e spine
pur non essendo
una rosa di giardino
così io renderò feconda
la mia vigna
e si meraviglierà l’intero creato
innanzi ad essa
poiché mi partorirà
sette magnifici frutti.
Tra di essi
ve ne sarà uno primaticcio
che soffocherà i pruni e i rovi.
Sì.
Il mio virgulto
lavorerà alla mia vigna
con quell’amore
di cui lui stesso
è degno
e la condurrà a me
come un gregge,
come un pascolo e il suo pastore.
Digrada teneramente
una pioggia fitta
di parole insanguinate
nelle piazze inazzurrate
dei mari più acerbi
perché io le porto
a profondo compimento
prima del dopo.
Una grazia piena
che pianto tra l’inizio e la fine,
tra l’alfa e l’omega,
lì dove anche i cieli
si piegano per tanta meraviglia.
Tanti, tantissimi
si schianteranno contro di esse
e andranno sfracellati
come contro tante pietre d’angolo,
la stessa
che hanno da sempre scartato
per imprudenza, interesse,
stoltezza e viltà.
Ecco.
Io consolerò il mio popolo,
il resto che mi sono scelto,
i frutti miei,
e gli darò il nome
che più gli compete:
mio-amore, amore-mio.
Belli,
come sono apprezzati da me
i sacrifici di chi muove la voce sua
nella mia misericordia,
e che si rincorrono
come le alterne tracce
di tante cerve
sulle vette dei monti.
Vieni adesso,
chiudi nelle mie stanze
il tuo cuore
ché desidero consolarlo.
Il vino lo berrai nuovo,
mano che ti stringe il fiato,
quando a me farai ritorno.
Nel mio eterno bacio.
Sì, vengo presto. E canterò per sempre, per amore, l’amore del mio amato ed il suo popolo, come schiere di generazioni, a lui faranno ritorno. Nel suo sbalordente, eterno bacio.
(09/10/2023)