Cos’hai tu
di così diverso dalle altre,
o improvvida,
perché io debba favorirti
nella tua già prevista
e approvata sorte?
Certo,
soltanto il silenzio
non ti è nemico oggi
poiché non esiste più
neanche per te.
Eppure te ne vai ancora,
inorgoglita,
a capo alto tra i tuoi amanti,
che ormai conosci anche
come tuoi aguzzini,
e balorda vesti la tua perversione,
la tua fame di potere,
di vittoria, nonostante
la soggiunta consapevolezza
che sbriga in te le ultime pratiche
di una orrida dipartita
tra le tue simili,
tra le peggiori d’esse.
A causa
delle tue scellerate condotte,
attraverso le quali
aggiungi ai soprusi le infamie,
anche ciò
che mi è stato caro fin ora
io ho preso in odio
e detesto,
a partire dai luoghi a me sacri
sino alle poderose lamentazioni,
fonti dei più innocenti lamenti,
che sconvolgono
il viso già deturpato
di quello che è diventato
il volto di una sola madre
di una dimenticata presenza.
Sì. Una mia creatura
che a causa tua
non trova più
un ascolto alle sue preci
e alla quale io,
come fossi alcun uomo e nessun padre,
non volgo sguardo pietoso
né allungo
il mio compassionevole abbraccio.
Ho in abominio
ogni tuo respiro oramai;
tu,
divenuta la piena di obbrobri
caricati pure dai fardelli
delle tue nefandezze.
Oh vigliacca,
che sai rubare
il sorriso all’innocente
pur di vendere
uno sguardo impudico
a chi ti presta
i suoi averi maledetti!
Da figlia di un popolo
stimato più di un popolo
sei divenuta sua meretrice
infondendo nelle sue speranze
le tue idee ignominiose,
frutto sovvertito
di un malvagio interesse
che coinvolge un obiettivo
a te sempre più coeso
quanto ancor più fraterno:
il calpestio celere e convinto
delle umane masse
per la distruzione
del tuo medesimo genere.
Stolta.
Ti ho amata ed ecco,
già sei sulla bilancia
dei miei tre tempi.
Ogni suo piatto ha un nome
ed ogni nome
ti parla con la tua stessa voce:
o idolatra, o assassina, o infedele.
Codarda!
Non potendo rinnegare me stesso
ho posto tra me e te
l’abisso delle tenebre
come spartiacque del tuo avvenire
cosicché chiunque giaccia o è giaciuto
al capezzale del tuo vomitevole letto
abbia in abbondanza
la mercede a te promessa
nel naufragio di ogni pietà
e nella virtuosa impossibilità
di ogni coagulazione retroattiva
all’ambasciata del mio perdono.
Maliarda
anche le prostitute più longeve,
il cui numero assommato
supera di gran lunga
le bestemmie peggiori in te abitanti,
ti detestano.
Eri bella, sì.
Ti ho tratto dalla carne
di chi ti ho messo a fianco
e ti ho sollevata dal fango.
Asciugai le tue nudità dal sangue,
nel tempo della pubertà ti allevai
come una leonessa al suo leoncello.
Ti diedi a bere non latte
ma il seme pregiato della vite
e la tua esistenza impreziosii
con i miei regali.
Adorna di gioielli unici
rallegravi il mio volto paterno.
Poi, però,
ti sei allontanata dalla mia fedeltà
dimenticandoti della mia alleanza
per andare incontro alla tua libidine
ed hai cercato,
nel concime amaro della voluttà,
i vigorosi,
assetata di potere,
di sangue e di successi.
Hai desiderato
un tempo senza confine alcuno
dove il vento della vergogna
ti proclama ancora oggi
sua regina e signora.
Sei stata pesata
e chiamata in giudizio.
Che tu ascolti o meno
sei stata condannata
in quello stesso tempo
senza confine alcuno
schiaffeggiata dalla tempesta
della mia vendetta.
I giorni volgono a me
come io volgo ai giorni,
sì, lo giuro
in quella che è la mia di presenza.
Una parola,
la mia,
che veglia sopra quella bilancia
dai tre piatti non nominabili
e con la sua voce
che proclama beata la mia gloria,
gloria dell’unigenito figlio mio
al quale vanno ogni onore e vittoria.
(13/10/2022)