Per la natura lapidaria dell’uomo
“Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi.”
(Gv 1, 11-14)
Nacque per la natura lapidaria dell’uomo.
E perfino i suoi non lo compresero, non lo riconobbero, disaccettandolo pur di prefazionarsi alle ombre delle tenebre.
In questi si alternavano i violenti accadimenti della vita e della morte, del buio e della luce; accadimenti mai coetanei che da sempre fomentano la lotta, la ribellione, la scissione da qualsivoglia forma di libera scelta in ogni sua espressione popolare, fiorita e fiorente nel maculoso peregrinaggio terreno dove l’antagonista principe della ragione diviene follia, ovvero la proiezione di ogni scienza dirottata verso le vie putrefatte del male, qui inteso come luogo, soggetto e movimento.
Eppure il Verbo. Il Verbo che tutto acclude e schiude, essendo da prima che tutto fosse, ovvero che fosse tutto e il tutto, domina dapprincipio sulle tenebre, tenebre che hanno contro di lui né luogo, né soggetto, né movimento.
Tuttavia, da tempo contrario ai tempi, libano inconsapevoli, gli uomini, alla loro defezione primordiale, quella mancata connessione tra spiriti dalla eguale natura nell’etere indefinibile e celeste, e simultaneamente, così come similarmente, libano al contratto d’ingaggio con l’infera materia nelle coppe avverse delle decadenti azioni più malvagie, in stati ora di vile disappartenenza e adesso in stati d’impuro imbarazzo, per il concatenarsi elementare dell’orgoglio e della codardia, fattori e fenomeni favorenti il costante delinquere di una legge costituita per adempiere atti su atti di potere, atti per atti di sorvegliata e impunita, libera belligeranza e di prostrazione umiliante del corpo e del pensiero, a sottomessa carne e a sommessa mente.
E il bene? Bene fisso sui legni incrociati della sconcordia, della imperfetta sevizia, dell’infamia, attira ciò che la mente deplora e il petto reclama, nel grembo delle anime tutt’ancora da scoprire, da travolgere, da meravigliare, tra cieli, mondi e aria.
E, dunque, per la natura lapidaria dell’uomo, il Verbo si fece carne venendo a dimorare di tra noi.
A coloro che lo hanno accolto in sé egli ha dato potere, il potere di divenire simili a lui, umanamente amore, questi ultimi, piccoli e ultimi, in parallelismi divini officianti la confessione perpetua del figlio nel padre, non per meriti propri o per somma conoscenza bensì per opera dello spirito, quello spirito celeste che opera in essi, abitanti di un cammino verso la infinita gioia e, per tale assioma, connessi l’uno con l’altro al passo ulteriore, quello scandito da ogni momento trascorso alla sequela incomparabile della perfetta letizia, nel glorioso e digià saporante trasfondersi nella eternità, poiché da Dio generati.
(03/10/2024)