Per ogni rivelata rivelazione
Lo scambio della rivelazione scese su di me, quando ancora il mezzogiorno l’autunno della terra non aveva schiarito, per la compensazione delle regole dettate dall’uomo con le stagioni. E assiso in me vi era un angelo, un angelo dalle quattro bocche che vigilava sul mio cammino, sul mio tempo, e che vegliava costantemente nella parola che dimorava in me. Le bocche dell’angelo si aprirono improvvise nei miei occhi ed io piansi e guardai con essi. Dalla prima vidi una chiave argentea dotata di pensiero e di suono. Essa aprii la mia mente al favore della conoscenza di una verità intera che avrebbe adagiato l’umanità che tutta mi contraeva nella facoltà del verbo, al principio della complessità di quel suono. Dalla seconda osservai e vidi, ecco: assisi in quella bocca vi erano canti e innumerevoli inni scritti con la sapienza di un essere dalla forma inconosciuta, dalla specie animale e dalle sembianze umane. Alla gola aveva un taglio netto che copriva l’intero segmento del suo collo dal quale grondava sangue che stordiva la luce a me visibile e orante con zampe d’agnello. Poi fui costretto a istallare il mio sguardo nella terza bocca ed ebbi una visione, figlia dell’avvenimento presente e presente lì, dove il mio sguardo assiso in chi si era in me assiso si era istallato. Mi trovavo presso le sponde del mio fiume percettivo, attraversato da numerose onde interferenziali, quando immersi il mio capo in esso per riposare la mia volontà nei flutti di una sconosciuta coscienza dalla forma geometrica parallela ai miei spazi ultra-dimensionali come un quadrilatero. Una coscienza silente, sprovvista di qualsiasi componente primigenia che lasciasse germinare una qualsivoglia embolia emotiva in ambienti ospitanti amore e odio, sentimenti e identità. Ed ecco quattro parole ergersi davanti a una sequenza limitata di numeri, dei quali non ne capivo la formula, l’espressione, l’elevazione, poco prima che i miei occhi fiottassero acqua e sangue sulle sponde ove mi ero adagiato le quali divennero un cielo di battaglia. Oh meravigliosa armonia dei corpi oltrepassanti gli avvallamenti delle sfere non più guidate dalle miriadi di comandi provenienti da un bipede pentagramma, a quale mistero la mia mente stava per aprire il suo penultimo pensiero, mosso dal suo precursore, per il deragliamento delle atipiche realtà! Un fuoco dalle tre lingue tagliate in sette parti e contenenti circa duecento papille ulcerose si scagliò nel mio fiume e gli mosse guerra, sì. Fu guerra all’onda percettiva e fu chiamata a combattere per me, in ogni sua presenza, la severità dell’acqua. I numeri che osservavo e che mi attraevano a loro come forza elementare, una potenza magnetica, spinsero i loro principati a prosciugare il sangue evaso dai miei occhi a fiotti e lentamente, nel progressivo andare del mezzogiorno, io cominciai a sudare le pulsazioni del mio cuore una dopo l’altra e come una pioggia di solitudine e di dolore in me si posarono decine di decine di abbandoni ed in essi gettai ogni mio sorriso innato e lì li abbandonai. Fu il tempo delle parole quindi, un tempo angoscioso e liberatorio. Con la voce fuoriuscita dalle quattro bocche dell’angelo esse, con fare improvviso, tuonarono con un tuono mai udito prima da alcun essere vissuto e vivente. E la formula, l’espressione, l’elevazione: in me rinvenne la proprietà ultima dei linguaggi quando mossi la mia coscienza nel folle grumo dell’intiero algebra. Ancora invaso dalla mia visione ecco spalancarsi la quarta bocca dell’angelo assiso ove io non ero più assiso e il mio occhio destro, il forte, accolse la sua parola integra e ancora in fiamme. Tale parola era incisa con elettro e platino e parlava dentro e fuori di me, fuori e dentro di lei, senza stancare mai la mia voce e senza stancarsi mai del suo occhio. Una parola dai sette volti e dalle sei ali. Tre dei quattro volti avevano un’espressione mite, pacata ed elevavano i loro sguardi al cielo. I restanti quattro volti, tuttavia, avevano l’aspetto di un calcolo di giorni e di coordinate la cui formula fu svelata alle orecchie dell’intero ascolto e di qualsiasi umanità. Essa fu recepita nella sua semplice triplicità dall’universale linguaggio: Guai! Guai! Guai! Avevo ancora la parola dentro di lei e fuori di me quando fui portato lì dove l’autunno stava per procreare il suo primo mezzogiorno e sentii pulsare nel mio cuore ventiquattro rintocchi, ventiquattro come il numero delle ali che mi avevano trasportato in terra arida e infeconda, una terra da coltivare e da possedere con regole e discipline nasciture per ogni stagione a venire. Fin qui il mio fin qui.
Ma guai, dice il Signore.
Guai! Guai! Guai
a coloro i quali
pur non stancandosi
della loro stanchezza
comprenderanno la mia parola
e osservandola
non vorranno capire
l’oggetto ultimo della mia stanchezza.
Ecco.
Io rimetto su ogni capo dell’uomo
la mia parola
e ogni capo dell’uomo
parlerà nella mia parola
prima che il mio unigenito frutto,
cadendo in aria e intervallandosi al suono,
i suoi semi sparga a metà e a metà
tra acqua e fuoco,
terra e aria,
facendo di sé una realizzazione regale
per ogni rivelata rivelazione.
(21/09/2022)