Fummo concepiti
col nettare del suolo
o tra i clamori dell’aria?
Quale grembo
accolse l’esordio del tuo sorriso
e chi mai
non smise di nascere
pur di rendere
al mio neonato giorno
l’assunta paternità
di ogni suo primordio?
Domande, queste,
che forse non consentono
intromissioni di pensieri,
di parole.
Dunque siamo.
Come riflessi aurorali
sono i nostri atti
a proiettare colori
su di un mondo
sempre più incapace di credere,
di amare.
Già, il mondo.
In tutte le sue burrasche.
Noi non bastiamo a noi, no.
E l’altrove è quiete pura
che invoca a nuovi fasti
la genealogia
delle nostre inconosciute età.
Può chiamarsi legge
il prodotto acerbo delle tenebre
nella recidiva dei suoi errori?
La salvezza, è vero,
la salvezza proviene dall’alto.
E chi detiene
questa manifestazione
di sommo potere
è a sua volta disceso tra noi,
con noi,
nascendo però proprio dall’alto,
affinché l’attesa
per il suo battesimo
cessasse in quel beato fuoco
che anche noi abbiamo acceso.
Ecco la pace,
questa immacolata spada
che gli uomini tanto disprezzano,
irridono.
Eppure è proprio essa
la causa delle separazioni,
delle divisioni,
delle più infide lotte.
Non è la pace
che appartiene al mondo
poiché non è come quella pace
che dà il mondo.
Continueremo a non risponderci
del nettare del suolo
e dei clamori dell’aria
poiché nel silenzio dell’anima
sarà lo stesso silenzio
a lasciar pervenire
nei nostri cuori
tutti gli attimi
che da sempre ambiscono
a mutare
la loro struttura temporale
per divenire nostra prole spirituale.
Amore.
Il vespro tanto atteso
da chi rinnega la verità
è assolutamente preludiato.
Immergiamoci nelle piaghe dell’alba
poiché il giorno terribile
sta per levarsi.
Esso porta in sé
il grido degli ultimi
e degli innocenti.
E questo grido è stato udito lì,
dove si nutre di vita la salvezza,
in alto.
Teniamoci uniti nel grido,
comunicanti con gli ultimi
e con gli innocenti,
affinché il nostro sangue
si impregni di celeste consolazione
ed abbondante scorra
da quelle amabilissime piaghe.
L’alba.
E se fossimo noi
a dover trasfigurare
ciò che dal nostro essere
esige la parola
con l’ultima epifania in terra
della luce vera?
Domanda, questa,
che non consente
intromissioni di pensieri,
di parole.
Dunque siamo,
nell’esordio del tuo sorriso
e nell’assunta paternità
di ogni mio neonato giorno.
Primordio nel primordio,
alla vigilia di un abbagliantissimo urlo
che guizzerà da oriente ad occidente
senza genere di preavviso
e senz’alcun fiato.
(24/05/2024)