Mutevoli e addensate
nella morsa del candore
le nostre future felicità
s’intendono le une con le altre
nella dimensione inalterabile
del dono.
E quanta unità di attese
nel pensarle,
e quale forma nuova
di alternato respiro
che non può indugiare qui
né altrove per il loro mai vissuto
e già sazio incontro.
Dire di noi, tra noi,
equivale a lasciar lievitare
uno spazio che da sempre,
da sempre ci appartiene
e che vuol essere reinventato
affinché anch’esso possa comprendere,
tra le sue cellule di materie
sconosciute anche all’uomo
che ci compenetra,
che ci compete,
che tale suo accadimento
è il nostro divenire nell’altro,
nell’uno.
Darsi, dunque.
Proiettati nel fenomeno
del nostro ulteriore assieme
sparso sulle longevità di baci creati,
mai taciuti,
nudi come l’idea che ho di noi,
di te,
a focalizzata levità,
per lasciarmi vivere
come incastonata luce di luce
nel diadema puro e universale
indossato dalla bellezza
coniugata alla conoscenza
nel dissigillato giardino
che ci chiama per nome,
nel nome che ci chiama
a dissigillato giardino,
in una eternità che ci acclama
tra le nostre future felicità
nate prima del tempo che ci ottenne
e soltanto a lei note.
(25/08/2023)