“Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre.”
(Mt 24, 36)
Se alla mutazione sfigurata delle nostre menti si fosse aperto mite a più coesa espressione, in avvenimenti e simbologie preludianti la condizione ultima della nostra realtà, avremmo di sicuro perduto il sapore principe del vivere. Come creature sempre più ridotte, fragili, figlie della costrizione di un essere interesse senziente al quotidiano avvenire, abbiamo imparato a chiamarlo come meglio conviene, ovvero come più gli si addice, senza stroncare l’antologia lirica delle sue consonanze sintoniche sdoppiate tra le arcane logiche della provvisorietà.
(03/12/2021)