Senza badare al soffio dei cieli e alla stadera
“Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare
e ha calcolato l’estensione dei cieli con il palmo?
Chi ha valutato con il moggio la polvere della terra
e ha pesato con la stadera le montagne
e i colli con la bilancia?”
(Is 40, 12)
Siamo sazi di qualsivoglia appartenenze a specie, a razze, atte a coinvolgerci all’esteso inutilizzo della formula, dell’intero algebra che conduce all’unica esponenziale invariabile della esistenza. Oh, parvenza delle forme! Pusillanimità di quelle scienze tutte che praticando le teorie elaborate della buissima concupiscenza insegnano agli uomini dottrine fallaci e ingannevoli che inducono al disuso della coscienza, finanche al disarmo della stessa ragione. No. Siamo ben sazi, noi, della superbia iniettata a profusione, di quel liquido dettame dall’affare putrido e interdipendente che incatena popoli e nazioni. Ma tutto ciò non è che fango, sabbia mobile detestata dal moto puro delle acque. Il potere terreno è abile, recidivo, plagia i pensieri, anche i più robusti, e ramifica il suo frutto più marcio tra le desolanti piaghe della perversione. Triste, quanto sconfitta e triste regna in ogni società, ormai, l’oppressione, l’omertà, l’ignominia, la vergogna. Schernendo gli uomini s’invalida la vita e il mondo muore. La sovrana reale non si lascia chiamare per nome: la follìa è ovunque e, governandosi, la paura disonesta è la prima a renderle gli onori. Eppure l’uomo. Già. Questo essere fatto di polvere ha dimenticato la sua vera origine: brama di elevarsi al di sopra dei suoi simili senza badare al soffio dei cieli, alla stadera che pesa microbi e montagne. Ecco. È questa, da sempre, la sua dannazione in terra. E il male, il male suo più grande.
(16/01/2024)