Stilli come grandine o rugiada il dardo della mia parola
A mezz’asta goda il vento e arrida,
di tutti quei vessilli se ne arrida.
A tramortite grazie
si spalanchi la fauce della terra
per inghiottire viva
ogni figlia della grande meretrice,
ogni volto sfregiato dall’infamia.
Vedo. E che vedo.
Ogni uomo,
ogni uomo non è più nulla
sulla faccia che avrei potuto indossargli.
Lamento e pianto su quella pelle incisa
da violenza e orgoglio,
da superbia e inganno.
Latrino pure, ora,
gli aguzzini del mio popolo,
e si dimenino nelle loro latrine
le loro asservite schiere,
i numeri primi
delle future vedovanze.
C’è chi ode in luoghi stepposi
l’onagro agonizzare,
impotente di fronte ad una fiera
che lo ha tramortito
su di un suolo a lui nemico.
C’è chi fugge dal violentato paese
con le lacrime assenti
per gli occhi di un’anima
oramai cavata.
Eppure l’urlo dell’agonizzante
e la cieca fiaccola dell’innocente
non mi sarà sgradita.
Tutt’altro.
Ricondurrò l’aridità più rigida
nel luogo dove si decide
il perpetrarsi della violenza e del sopruso
devastando le sue sponde senza acque
per la moria degli argini
e delle stagioni favorevoli,
come quando la calura diviene tiepida
e a prosciugarsi anzitempo
sono i campi dei grani
e a bruciarsi
per l’inettitudine dei contadini mercenari
sono i miei depositi,
le centrali dei miei azzimi.
Sì. Cadrà come un onagro nel deserto
e piangerà per bocca
del suo stesso aguzzino la vanitosa,
meretrice tra le meretrici,
madre di ogni vipera che io,
che io ho lasciato sul terreno infecondo
ad insediare il calcagno dei miei popoli,
della mia nazione
costituita tra tutte le nazioni.
Striscerai, tu striscerai sul dorso
dei tuoi discendenti
e non avrai più pace
poiché il sangue innocente di Abele
chiede riscatto e memoria,
memoria e riscatto
e non mi darò riposo alcuno
per la tua cecità,
per il tuo vagare inutile,
ovunque vi sia traccia desertificata
e ancora vita sulla terra.
Giacché da misera che eri,
squallida e dimentica del tuo passato
hai condannato non solo te stessa
all’empia fine, o malvagia.
Ecco. Sulle mie spalle
sono i miei agnellini feriti,
anche se non si vedono le mie spalle.
E conduco le pecore madri
con la mia destra.
Essa non tarderà a manifestarsi
poiché spalancherà ogni sepolcro
abitato dalla innocenza e dalla carità
per accudire le loro pene ormai svanite,
le loro sofferenze che io violerò
per tramutarle in gioia e felicità.
Vindice dei miei figli
e padre di ogni popolo
io farò giustizia, io farò
ciò che già compio in me da sempre.
Poiché sono la giustizia,
la legge e colui che nel giudizio
dividerà ogni popolo.
Spalanca la tua fauce o cielo, adesso,
e stilli come grandine o rugiada
il dardo della mia parola su ogni mio creato.
(07/03/2022)