Sull’odio

L’odio è annoverabile come una personalità incancrenita dal suo disturbo più malvagio, traducibile in troppe circostanze nella paura di perdere il controllo del potere.

Il potere si definisce in manifestazioni d’amore attraverso le quali si concretizza la primavera dell’anima. L’odio, invero, è la complessa esibizione della bruttezza, del macabro talvolta, che rende l’uomo indegno di portare perfino un nome.

L’ipocrisia e la falsità sono l’incesto della viltà. L’odio, tuttavia, è per antonomasia il disfacimento totalitario di quelle civiltà che si lasciano da esso possedere.

Quando l’odio è di casa povere mura, uniche fondamenta, in tal caso, dotate di un’anima.

L’amore inciampa nella sua stessa pietra poiché è da essa che trae ancora più slancio. L’odio, invece, cammina sulla sua stessa sabbia ove invano tenta di seppellire con facilità dotta i suoi misfatti e di cancellare, come un cane, ogni traccia del suo vomito.

Non è possibile odiare solo in talune circostanze. L’odio è come un marchio sulla pelle, una lebbra che non perdona.

In funzione di chi governa l’odio è oppressione della mente.

Figlio mio, chi odia ha paura della morte poiché l’odio è consapevolezza del perenne oblio. L’amore è dei vivi.

(03/01/2022)