Hai demolito il lamento
che su di te avevo lasciato intonare.
Con le armi
e la diplomazia della superbia
sei andata incontro a molti popoli
sterminando usanze, fedi, compassioni.
E hai attuato i tuoi piani bellicosi
in modo rapace,
con un fare estremamente scrupoloso.
Ti canterò una nuova canzone.
E i tuoi figli
non avranno tempo
né modo di fischiettarla nelle piazze,
nei palazzi, per le strade,
poiché saranno dimenticati come te,
senza alcuna remora,
oggi che ho dimenticato
cos’è la pace in terra,
il rimorso e la medesima pietà.
Batti la tua mano sinistra
su quella destra
e lascia che i tuoi polsi
vibrino al tempo del mio presente,
al tempo della mia vendetta.
Una colomba
per le stanze di una fiaba antica
volteggerà serena, sicura
e innamorata della vita.
La sua natura non avrà confini
poiché non conoscerà
le tenebre dell’errore
per le macchie dell’impurità.
E mentre tu la vedrai riposare
sui gradini lievi dell’esistenza
comincerai a marciare con il cuore,
da est a ovest,
da meridione a settentrione.
Porrai il tuo piede sinistro
sul fiume giallo che sprofonda in oriente.
Aquila, eri bella.
Eri una prodezza tra le mie aquile.
Ti scavai un nido,
fosti la pregiata preda
degli avvoltoi del nord,
usurai dell’atmosfera.
Presi a fasciarti le ferite.
Un fiume vermiglio
avvolgeva le tue splendide ali,
il tuo becco spezzato
lo ricamai con spezie pregiate
e tessuti arabi.
Era il nostro tempo d’amore.
Imparasti a volare, a predare,
e la paura non era integrata
alla tua essenza delicata.
Eppure tu.
Vidi nel mio dolore
come falcidiasti la tua prima nidiata.
Tacevo, ed era
la mia unica fonte di vitalità
riversa in te.
Lasciai che tu andassi lontana,
geloso non della tua partenza,
tutt’altro, ma della tua nidiata.
Porrai il tuo piede destro
sul colle più elevato
che disonora l’intero occidente.
Con i pugni vibranti al petto
sotterrerai il tuo cuore al mio passato.
Poi, con la bocca spalancata,
a digrignanti denti,
osserverai il tuo istante
immane di presente.
Infine, mirerai
col tuo occhio di aquila fallita
il futuro,
desiderosa di possederlo
anche solo per una pausa di vita,
tra ciglio e sopracciglio.
Non ti sarà concesso
nulla di tutto questo.
Riderai allora,
riderai crudelmente
della tua sorte indegna
quando ascolterai,
per un’ultima volta,
il suo lamento antico,
la tua presente canzone
e il mio inno futuro.
Perché i tuoi veli saranno strappati
ed io stesso annoderò al vento
le tue macchie più infami.
(03/08/2022)