Come sono belli, oggi come ieri, gli imbiancati sepolcri dove gli uomini della propria volontà amano sedersi in prestigiosi abiti intonando lamenti organizzati, litanie associate a preci a dir poco delinquenti, in lussureggianti piazze ove a mancare sono soltanto il contegno delle pietre, vino fossile per il quale anche la speranza si sperde in quell’otre nuovo e già sfregiato dall’ebbrezza sguaiata di un’accomodante risata, incarnato invito tradizionale per la prossima festa ove il silenzio di tutti quei morti (che fa le veci della storia) non suonerà più in pace.
Gioisci, alza il capo ed esulta dunque,
tu che con liete notizie arroventi il mio unto vincastro,
e annunzia alla sterile che conoscerà il più celere dei travagli,
doglie come di un’esile partoriente nei suoi tenerissimi anni:
chi vorrà ascoltare il tenue pianto dei suoi numerosi figli,
chi porterà in braccio le realtà ultime e devote,
nelle loro forme beate, facendo spazio allo spazio dei gioghi?
Ecco. Leggera come una corda che sale verso le prossimità delle supreme altezze, chi saprà stringere al proprio collo la sequela stessa della pura innocenza?
Una voce. Cosa dice?
La vedetta. Cosa vede?
Aprite le orecchie, spalancate gli occhi, o increduli e perversi,
poiché ascolterete ciò che nessun orecchio mai ha udito,
vedendo ciò che alcun occhio ha mai visto.
Vi saranno tra di voi alcuni che non conosceranno l’oblio della memoria affinché il loro pietoso olocausto diventi per me un inutile sacrificio ove il drappo della giustizia sventolerà alla destra della verità per giudicare tutti i genocidi della terra.
(15/01/2022)