Va’ figlio dell’uomo. Sii in pace

“Guarda e parlami, poi nel mio poi, nel tempo che vicino a me ti ottiene libero e presente, figlio dell’uomo. In questa casa in cui adesso ti trovi, cosa odi e cosa vedi?” Macerate parole, che s’incastrano in mura diroccate oltre ogni causata lite, oltre ogni causata morte e dell’anima, e del corpo. E vedo, senza alcun velo che possa dimenarsi nei miei occhi, lamenti e spranghe ergersi dalla bocca di troppi padri e di molte madri. “E cosa te ne pare di tutto questo, dimmi, figlio dell’uomo?” Oh, non potrei che affermare il mio ripudio a continuare altrimenti, anche se sottostarò alla visione, all’ascolto, pur di comprendere il vero, il nesso, la similitudine, nella loro definitiva consumazione. “Ordunque, la casa in cui v’erano macerate parole sono il paese in cui ti trovi. Le diroccate mura corrispondo per l’esattezza ai palazzi dove pietre bucano acque, come quando la pace non ha voce per la fragile nullità del potere momentaneo, umano. La morte dell’anima e del corpo sono la privazione della dignità degli uomini a causa della depravazione di altri uomini e le liti rappresentano ciò che avverrà nei prossimi fratricidi, nelle prossime guerre. I padri e le madri non altro sono per me che i vari adamo e le troppe eva schiacciati, più dell’ieri, dal peso abnorme dei loro inutili rimorsi e soprattutto dei rimpianti che morderanno come una serpe che non muore mai. Dal loro dolore, dalle loro urla, nasceranno bestemmie che la bocca non saprà mai tacere, poiché dalla loro lingua io strapperò il velo che copriva le loro colpe, le loro iniquità. Io ti ho chiesto, tu mi hai dato. Io ti ho cercato, tu mi hai trovato. Va’ figlio dell’uomo, mostra l’ira che continuerà ad aizzarsi, avanti ogni cielo, come mai prima d’ora. Sii in pace”.

(26/10/2021)